Il grande regista italiano Federico Fellini avrebbe apprezzato le potenzialità cinematografiche dell’apertura del 5° giorno.
Eravamo usciti per la messa in Vaticano. Tutti i delegati erano riuniti sui gradini della Curia alle 7 del mattino. Per alcuni come me, che vivono in Curia, che è stato un compito relativamente semplice; più duro per quelli alloggiati al Russicum e al Germanicum, che hanno impiegato 45 minuti di cammino per arrivare ai gradini della Curia, e solo allora la battaglia ha avuto inizio.
Quello che doveva essere un pellegrinaggio mattutino nella morbida rosea penombra di un’alba romana prese una piega apocalittica quando il cielo si oscurò e un tuono ringhiò minacciosamente. Un grazioso coccodrillo nero composto dagli ombrelli di 200 gesuiti prese la propria strada oltre borgo Santo Spiritto, esitando solo quando raggiunse il mare aperto di piazza San Pietro; fu lì dove la pioggia divenne torrenziale, i fulmini scintillarono e i 200 ombrelli ruppero le righe e iniziarono a correre – ognuno per sé – per rifugiarsi sotto il colonnato di Michelangelo, dove la polizia italiana, perplessa, fece i controlli di sicurezza.
Il passaggio attraverso la Porta Santa della Misericordia è stato memorabile. La basilica di san Pietro era silenziosa e pressoché vuota di turisti; la solennità e magnificenza del luogo segnarono il tempo della nostra devota eucaristia.
P. Nicolas si è unito a noi e ha concelebrato, ma l’onore di presiedere è stato dato a p. Ben Nebres della Provincia delle Filippine, che è il membro più anziano della GC36 e un veterano delle Congregazioni generali del passato.
Ho avuto una meravigliosa vista dal palco rialzato del coro come fossi parte di una piccola e spontanea schola di gesuiti che cantava (con più di entusiasmo che accuratezza, è stato riconosciuto in seguito) per dare qualche rilievo musicale all’evento.
Celebrare l’eucaristia presso la tomba di san Pietro per la Congregazione è un gesto simbolico per vari motivi. In primo luogo il nostro essere cattolici ci riporta indietro nel tempo a Cristo e alla radice della nostra fede, la fede degli apostoli che sono stati i suoi primi compagni. Il nostro essere cattolici è importante anche per un altro motivo, siccome in queste settimane contempliamo la mostra missione universale. Come i primi compagni di Ignazio, provenienti da molte nazioni, vennero a Roma in cerca di una guida, così 215 membri della Congregazione, che rappresentano tante culture diverse e tutti i continenti tranne l’Antartide, ritornano a Roma in cerca della direzione da prendere.
Forse la nostra piccola schola volontaria è un microcosmo della nostra missione universale: lavorare insieme cantando, in maniera tutt’altro che impeccabile, un inno catalano, con un belga e un lituano come tenori; la sezione bassi era composta da un americano, un centrafricano e un inglese; siamo stati diretti da un tedesco, abbiamo avuto il provinciale del Kerala al violino e José, gesuita sudamericano, alla chitarra. Cioè, José avrebbe avuto la chitarra, se la polizia italiana non l’avesse confiscata al colonnato di Michelangelo.
Non tutto il male vien per nuocere.
La nostra giornata ha avuto inizio.